venerdì 11 febbraio 2011

Chissà se lo sapeva

Lei ci aveva messi a fare fotocopie, imbustarle e attaccarci l’indirizzo. A te piaceva fare le fotocopie. A me piaceva imbustare le lettere. Lei lo sapeva. Lei sapeva sempre metterci a fare le cose che ci piacevano, le cose noiose che fatte insieme ci divertivano.
Lei sapeva quando poteva venire ad interromperci e quando lasciarci ridere da soli, piegati in due sul tavolo, io addosso a te per tenermi su quando a forza di ridere mi mancava il respiro e mi scendevano le lacrime.
Lei capiva che c’era qualcosa ma che nessuno dei due sarebbe stato il primo a rivelarlo. Lei sapeva e ci spingeva nella strada giusta.
Lei ci aveva messi a contare volantini. A me non piacevano i volantini. A te non piaceva la matematica. Eppure insieme li contavamo e stavamo zitti. E parlavamo. E volevamo essere uno più bravo dell’altra. E lei sapeva anche questo. Lei sapeva che ci saremmo minacciati a vicenda di morderci, di soffiarci come i gatti, di inscoccettarci alla sedia. Lei sapeva e ce lo lasciava fare.
Lei non diceva niente quando mi sedevo in braccio. Non diceva niente quando stavo a giocare con i capelli di lui. Non diceva niente quando gli facevo il solletico e ridevamo entrambi in modo tutt’altro che silenzioso. Non diceva niente perché sapeva. Lei sapeva sempre.
A te piaceva stare fuori al buio a chiacchierare, a guardare le macchine passare e guardare male i guidatori. A me piaceva stare fuori con te, e non importa se faceva freddo. Lei sapeva anche questo. Chissà se sapeva anche cosa avrei fatto poi, quando ti eri abbassato abbastanza perché io fossi alla tua altezza. Chissà se sapeva che sapore avevano le tue labbra quella sera. Non avevamo nemmeno leccato le buste per chiuderle.

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