martedì 28 agosto 2012

Chocolate chip cookies

kat in versione capocuoca
Era da un pezzo che mi andava di fare qualche altro dolce americano (ormai i muffin sono un must, e pancakes non li faccio spesso) così oggi mi sono data ai famosi chocolate chip cookies. La ricetta non è quella originale americana, perché ci vorrebbero come minimo anche le noci pecan (che non so nemmeno dove andare a pescarle), ma vi assicuro che sono buoni lo stesso. Con queste dosi a me ne sono venuti 19, anche se tutto dipende da quanto grandi li fate.

Ingredienti
220 gr farina
80 gr zucchero bianco
80 gr zucchero di canna (se non avete lo zucchero di canna fate 150 di zucchero bianco)
1 uovo
100 gr burro
1 bustina lievito
1 bustina vanillina
1 pizzico sale
gocce di cioccolato (in alternativa fate a pezzi una tavoletta di cioccolato, meglio fondente)

Procedimento
Fate ammollare un po’ il burro (potete tirarlo fuori dal frigo in anticipo, oppure metterlo in un pentolino a bagnomaria. Fate attenzione che non si sciolga, deve solo ammorbidirsi). In una ciotola mescolate farina, zucchero e lievito. Aggiungete l’uovo e poi il burro morbido. All’inizio potete lavorare il composto col cucchiaio di legno, ma poi, quando diventa tutto a scaglie, ci dovete mettere le mani. Aggiungete anche la vanillina, il sale e le gocce di cioccolato e impastate finché non ottenete una palla che non appiccica (nel caso, potete aggiungere un altro po’ di farina). Mettete la vostra palla di impasto nel frigo per almeno 20 minuti.
Mentre aspettate, potete per esempio ripulire tutto e ricoprire la teglia del forno con la carta da forno.
Quando l’impasto è bello solido, toglietelo dal frigo e iniziate a fare delle palline un po’ schiacciate (non spiaccicatele troppo, sennò vengono delle sottilette e non dei biscotti). Generalmente sulla padella del forno ce ne stanno 12, non di più, sennò cuocendo si attaccano tra di loro.
Preriscaldate il forno a 180° e cuocete per 10-15 minuti. Se vi sembrano un po’ flosci quando li tirate fuori, non fa niente perché raffreddandosi si induriscono.

lunedì 27 agosto 2012

Come le taglio le carote?

Giusto perché è troppo esilerante per tenermelo solo per me, ecco a voi l'ultimo dialogo-scemenza tra me (appena svegliata) e mio padre.
dad: come la facciamo le carote? Col burro?
(le carote lesse le passiamo sempre col burro, anche perché non credo ci siano altri modi)
kat: sì.
dad: ma prima il burro o prima le carote?
kat: (dalla camera) come vuoi.
dad: ma mi serve la pentola in cui sono dentro le carote, se metto il burro a scaldarsi intanto non la libero.
kat: allora metti tutto insieme, tanto devono solo scaldarsi.
Dopo tre minuti
dad: ma le carote le faccio a pezzi o a rotelle?
kat: fa lo stesso.
dad: [grugnisce in disapprovazione]
kat: (ormai sclerata) dio, devo anche dirti di quanti centimetri tagliarle?

Non so se lo fa apposta o si diverte a tediarmi. E non so perché non lascia lì tutto che lo faccio io, tanto alla fine lo devo fare lo stesso.

domenica 26 agosto 2012

Aria di pioggia

In realtà c’è solo aria e niente pioggia, se non contiamo i quattro sputacchi che ha fatto stamattina alle sette. Però almeno per oggi si respira, che io stavo per sciogliermi del tutto come un ghiacciolo, e anche se la perturbazione Beatrice non ha fatto granché il suo dovere, almeno per stanotte spero che si dormirà. A dirvi il vero, a guardare fuori questo cielo tutto scuro, con questa specie di vento che soffia, mi viene voglia di mettermi la felpa e lo zaino e andare a scuola.


mercoledì 22 agosto 2012

Cosa si dice in biblio

In questi giorni di vacanza (o almeno dovrebbero esserlo), la gente in biblio langue. Langue anche la mia voglia di starci, se non fosse che qui si sta con l'aria condizionata a palla, a costo di farmi venire la polmonite.
Siamo saccheggiati, con gli scaffali mezzi vuoti, neanche fossero passati i briganti a depredarci, e la gente viene sempre a chiedere gli stessi libri, vuoi perché sono nelle liste da leggere per la scuola, vuoi perché ne hanno sentito parlare. I primi nella classifica delle richieste (anche degli interprestiti) sono i tre delle cinquanta sfumature, che se fosse per me andrebbero dritti al macero, e dovreste ben sapere quanto mi piange il cuore a buttare via un libro. Pensate che quelle schifezze hanno venduto più di Harry Potter (qui). Cioè, al macero ci sono andati i cervelli. E non lo dico perché mi va di saccagnare in libro che ha fatto tanto scalpore, vi confermo che è una schifezza perché mi sono abbassata a leggerlo. Certo, in pdf e a spezzoni, che tanto non mi sono persa niente perché non c'è niente di abbastanza culturale da giustificare almeno in parte la vendita di cotante nefandezze.
Al secondo posto c'è quello di Gramellini, Fai bei sogni, che io spero vivamente non sia come il primo (L'ultima riga delle favole), che per scriverlo non so cosa si sia fumato.
Al terzo posto non saprei, non ci arriviamo mai.
E io intanto sto per mettermi a leggere Pinocchio, che in ventidue anni non l'ho mai aperto.

sabato 18 agosto 2012

Recensioni: Graceling

Graceling è il primo romanzo di una trilogia fantasy scritta da Kristin Cashore, i cui seguiti sono Fire e Bitterblue (uscito in America a maggio).
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Nei sette regni tutti quelli che hanno gli occhi di due colori diversi sono dei Graceling. Ogni Graceling ha un Dono, che può essere molto utile o molto pericoloso, o anche inutile. Tutti i Graceling sono di proprietà del re, che in genere li mette alle proprie dipendenze, così il cuoco di corte ha il Dono di cucinare, il giardiniere di coltivare, e Katje, la nipote del re, il Dono di uccidere. O almeno così pare.
Re Rand la usa come sua arma personale, la spedisce in giro per il regno a punire chi si è comportato male e Katje esegue. Tutto questo finché un giorno si rifiuta di obbedire agli ordini dello zio re perché pensa che l’uomo che dovrebbe punire non abbia commesso niente di male. Per evitare di fare una carneficina a palazzo, quando il re la convoca per chiedere spiegazioni, gli annuncia che se ne andrà di sua volontà e che non sarà più al suo servizio.
Katje quindi parte in compagnia del principe Po di Lienid (scusate, sarò io ma ogni volta che leggevo “Po” mi veniva in mente il panda) per indagare sul rapimento del principe Tealiff, nonno di Po, da lei salvato all’inizio della storia. I due attraversano foreste e montagne e cose del genere e (ovviamente) nel frattempo, passando tutto questo tempo insieme, si innamorano. Katje è convinta di non sposarsi mai, tuttavia Po le regala uno dei suoi anelli. Si scopre anche che Po ha il Dono non del combattimento come tutti pensano ma di poter vedere con la mente, una sorta di telepatia, e che nessuno, a parte la madre ne è al corrente.
Quando Po e Katje arrivano nel regno di Monsea per indagare su re Leck, scoprono che ha il potere di manipolare la mente delle persone, per cui tutto ciò che dice viene creduto vero da chiunque, infatti proprio per questo tutti lo credono buono e gentile, quando invece è uno schifoso bastardo sadico. Comunque Po è l’unico che non può essere ingannato dal re e per questo tenta di ucciderlo dopo aver scoperto che il re ha ammazzato sua moglie, zia di Po, e che cercava di uccidere anche sua figlia. Po viene ferito nello scontro e decide di fermarsi in una capanna sulle montagne di Monsea, affidando Bitterblue, la figlia del re, a Katje e dicendole di portarla a Lienid usando il suo anello come lasciapassare. Segue tutta la descrizione del viaggio tra le montagne che avrei saltato volentieri, e anche di quello in barca verso Lienid. Tra l’altro, l’anello di Po la identifica come principessa di Lienid, quindi sulla barca le fanno un sacco di salamelecchi. Arrivati finalmente a Lienid, entrano nel castello di Po, e chi c’è? Ma certo, Leck. A quel punto l’avrei ammazzato io, ma ci ha pensato Katje. Quindi, ucciso Leck, tornano tutti sulle montagne di Monsea a recuperare Po. Bitterblue, morto suo padre, è diventata regina ma rimane per tutto l’inverno nella capanna con Po e Katje, mentre il padre di Po governa a Monsea al suo posto. Seguono pare assortite nella capanna, finché anche Bitterblue e l’ultimo soldato tornano nella capitale e Katje e Po restano felici e contenti sulle montagne, ma prima o poi scenderanno.
Fine del primo libro.

Avevo cercato di iniziarlo tre anni fa, quando era appena uscito, ma mi ero fermata intorno a pagina trenta, tipo poco dopo il salvataggio di Tealiff. Non sono neanche sicura di essere arrivata a quando lo portava in salvo al castello. Poi l’avevo mollato, forse perché stavo leggendo Larsson, o forse perché non era un buon momento, l’avevo trovato noioso e palloso, e mi ricordava anche La spia di Shandar, che già non mi era piaciuto tanto. Poi la settimana scorsa ero di nuovo a secco completo, e quindi l’ho ripreso. Oserei dirvi che è scritto bene, anche se poi le eroine sono sempre eroiche, bellissime e ignare del fatto che mezzo regno è innamorato di loro. Gli eroi sono sempre fighi e muscolosi e bravissimi in combattimento e baciano da dio e ovviamente finiscono sempre per mettersi con l’eroina di turno. Il cattivo è sempre terribilmente cattivo e subdolo, e solite cose, e casualmente sta anche a raccontare tutto quello che ha combinato, come se affettivamente noi fossimo così scemi che ci interessa anche stare ad ascoltarlo. Se non altro, a parte certi punti (tipo la fuga con Bitterblue, che l’ho trovata pallosetta) è abbastanza coinvolgente, infatti ho preso anche il secondo per vedere come continua. Che poi, non continua perché è un prequel. Ma pazienza.

venerdì 17 agosto 2012

Matematica delle gite

È un pomeriggio come un altro in biblio: aria condizionata, connessione veloce, computer nuovo, e sette pile di libri da sistemare che rimarranno lì fino alla prossima settimana perché oggi non ho proprio voglia di fare niente.
 Abbiamo riempito una corriera per Gardaland e abbiamo altra gente in lista d'attesa, e io sono qua che faccio conti come una ragioniera per vedere di quanta gente abbiamo bisogno per starci dentro col costo della seconda corriera. Credo di non essermi mai applicata in matematica tanto come quando facciamo i conti per far quadrare i soldi delle gite.
E a casa, poi, ho una gatta matta che vede i fantasmi, o è posseduta, o non so, che si comporta in modo molto strano e come se non bastasse qualcuno mi ha suggerito che potrebbe essere in calore, il che non ha il minimo senso, visto che l'abbiamo sterilizzata cinque anni fa e, anche ponendo che l'intervento sia stato fatto coi piedi e gli abbiano lasciato dentro qualche pezzo, in cinque anni non si è mai comportata così, quindi lo trovo alquanto strano. Mi sa che comunque dobbiamo portarla a vedere. Ieri abbiamo anche comprato il trasportino, ma ho come il sospetto che non ci andrà dentro di sua volontà.

giovedì 9 agosto 2012

Recensioni: In verità è meglio mentire

In verità è meglio mentire è un romanzo di Kerstin Gier, già famosa in Italia con la trilogia fantasy formata da Red, Blue e Green, che vi consiglio solo se capite bene i viaggi nel tempo e tutti i paradossi collegati, sennò vi perdete.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Carolin ha sempre cercato di essere normale, ma non le è mai venuto troppo bene, in particolare perché è terribilmente intelligente (QI 158), parla coreano e polacco e sa suonare il cembalo e il mandolino, nonché eseguire a mente in pochissimi secondi calcoli molto complicati. Tutto sembrava andare per il meglio quando ha finalmente ha conosciuto Leo, ma dopo cinque mesi di fidanzamento a una festa ha conosciuto il padre di Leo, Karl, del quale si è innamorata e con cui è scappata a Madrid il giorno successivo. Solo che, dopo cinque anni di felice convivenza e matrimonio, Carolin si ritrova a soli ventisei  anni senza marito, morto d’infarto, e con una valanga di problemi legati alla depressione del lutto e all’eredità, che la famiglia di Karl, e in particolare lo zio Thomas, vuole a tutti i costi pur non essendo nel testamento.
Trasferitasi a Colonia a casa della sorella, Carolin cerca di tirarsi su andando da una psicoterapeuta idiota che probabilmente non sa nemmeno fare il suo lavoro, e prova a districarsi tra gli avvocati e le richieste di eredità dello zio Thomas che si fanno sempre più pressanti e assurde, passando ogni tanto a comprare scarpe da Pumps&Pomps (sarò io ma il nome mi pare sconveniente) e medicine dal farmacista forse-gay dall’altro lato della strada, e facendo girare gli ingranaggi del suo intelligentissimo cervello per arrivare a un finale assolutamente degno, e neanche troppo scontato.
Mi piace il modo di scrivere della Gier, è ironica quanto basta e, pur inserendo qualche cliché (che poi, chi non lo fa?) riesce a creare delle trame divertenti e anche con un paio di colpi di scena. Carolin mi è piaciuta subito, lei e il suo sarcasmo, forse perché anche io delle volte tendo ad essere terribilmente ironica, specialmente con le persone che fanno osservazioni cretine. Mi è piaciuta anche Mimi, la sorella, e Ronnie con i discorsi in codice sulle susine a proposito della gravidanza della moglie: “il fruttivendolo ha detto che l’albero delle susine ha dei problemi per via delle formiche” è stata fantastica. (Traduzione: fruttivendolo = ginecologo, susina = bambino, formiche = ormoni). Ho adorato il soprannome “sega circolare”, e ho giustamente odiato entrambe le sorelle di Leo e anche la loro madre, perché si credevano davvero delle gran scienziate, quando invece era palese che non erano più intelligenti di una patata appena tirata su dall’orto.
Se volete farvi quattro risate sotto l’ombrellone, leggetelo.
E io non vedo l’ora che ne traducano altri.

martedì 7 agosto 2012

Esperimenti di kat: la medaglia olimpica

Se in questo periodo vi sentite molto olimpici e avete mezz’ora libera (o se avete dei fratellini, cuginetti, figli, bambini che babysitterate), ho questo lavoretto simpatico da proporvi. Io l’ho preparato per i bambini del centro estivo, e devo dire che sono venute fuori delle cosine simpatiche (e anche delle emerite schifezze, ma pazienza).


 Cosa vi serve:
1 scatola di cartoncino (tipo cereali, pasta…)
70 cm circa di nastro da regali
1 bicchiere o rotolo di scotch per ricalcarne il bordo
pennarelli o pastelli e/o tempera del colore prescelto per la medaglia
forbici
colla stick o vinavil

Come si fa:
Prendete la scatola di cartoncino, apritela e tagliate due cerchi (aiutatevi col fondo di un bicchiere o qualcosa del genere) di circa 6 cm di diametro. I cerchi devono essere ovviamente grandi uguali e tagliati il meglio possibile. Mettete da parte la scatola, nel caso voleste fare un’altra medaglia più avanti e passate a colorare i due cerchi.
Colorate i due cerchi dalla parte interna con il colore che avete scelto per la vostra medaglia (oro, argento, bronzo, qualsiasi altro colore). Consiglio: se avete una scatola con l’interno bianco è meglio, ma anche quelle con l’interno grigio vanno bene.
Se colorate con la tempera, spalmate molto bene il colore altrimenti ci vuole moltissimo tempo perché si asciughi. Quando la base è asciutta, si passa alla decorazione della medaglia, preferibilmente con i pastelli o con una penna.
Quando entrambe le facce della medaglia sono asciutte e decorate, tagliate un pezzo di nastro da regali lungo circa 60-70 cm (consiglio: misuratevelo al collo prima di tagliare) e incollatelo in mezzo ai due cerchi (prima di incollare controllate che siano entrambi dritti). Schiacciate bene finché non è tutto bello solido.
Salite sul podio e mettetevi la vostra medaglia di cartone, facendo finta di essere a Londra.

Ho visto che i bambini erano abbastanza entusiasti di costruirla, specialmente i piccoli, forse perché non ci avevano mai pensato o forse perché hanno potuto pastrociare allegramente con la tempera e coi pastelli e con la vinavil per quasi un’ora. E in ricreazione, tutti andavano in giro con la medaglia al collo fingendo di essere campioni di chissà quale disciplina.

venerdì 3 agosto 2012

Il monitor e la pizza

Indovinate. Martedì mi si è suicidato di nuovo il computer, che mi ha fatto venire un esaurimento nervoso, ma per fortuna non l'ho più portato da quei due tirapiedi qui a Salga, ma l'ho caricato in macchina e portato diretto a San Donà da quelli che me l'hanno assemblato e venduto, che mi pare ne sappiano qualcosa di più. Alla fine non era il computer ma il monitor, che mi faceva la schermata bianca della morte (lo so che la schermata della morte è blu, ma suona così bene) e quindi ho dovuto comprarlo nuovo. Non vi dico a far entrare uno schermo in 16:9 nella scrivania dove prima ci stava un 17 pollici in 3:4. Insomma, ho schiacciato e sistemato finché non è andato al suo posto, o quasi.
Facebook mi è passato al diario definitivo, e io mi disiscriverei solo per la scomodità che deriva dal caricarlo con la mia connessione. Giuro.
Stasera abbiamo la pizza-animatori. Penso che mi metterò la maglietta bianca, che è la più fina che ho (fa un caldo da sciogliersi anche con l'aria condizionata), e spero di non tirarmi dietro un pezzo di sugo o qualcosa del genere. Magari porto anche la macchina fotografica, che forse vengono foto con facce più rispettabili di quelle di venerdì scorso.