martedì 30 ottobre 2012

Recensioni: La storia del leone che non sapeva scrivere

La storia del leone che non sapeva scrivere (Die Geschichte vom Löwen, der nicht schreiben konnte e L'Histoire du lion qui ne savait pas écrire) è un libro per bambini di Martin Baltscheit e Marc Boutavant. Il testo originale è quello in tedesco, e se capite qualcosa potete leggerlo tutto intero sul sito dell'autore, cliccando qui.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
C’era una volta un leone che non sapeva scrivere, ma a lui non importava perché per un leone è sufficiente ruggire e mostrare gli artigli. Un giorno però si innamorò di una leonessa che leggeva, e si sa che alle leonesse che leggono bisogna scrivere almeno una lettera d’amore prima di baciarle. Il leone allora si fa aiutare dagli altri animali, e i risultati sono assolutamente esilaranti, perché tutti scrivono a nome del leone ma mettono nella lettera ciò che farebbero loro. La scimmia, ad esempio, la invita a dondolarsi sugli alberi e a mangiare le banane, e lo scarabeo stercorario spruzza addirittura la lettera del suo profumo preferito (che ovviamente è puzza di cacca). Il leone ogni volta si arrabbia e ruggisce: “Ma nooo! Io non scriverei mai una cosa del genere!”, e sono sicura che i bambini andranno matti ad imitare il leone.
I disegni della versione italiana (e francese) sono semplici ma terribilmente simpatici, il leone cammina su due gambe, il coccodrillo scrive impugnando la matita come un bambino dell’asilo e l’ufficio postale è gestito da uccelli che volano a portare le lettere. Il  mio disegno preferito comunque è quello del leone che si infuria l’ultima volta, quando si vede solo la criniera tutta drizzata.
E poi, anche se il leone non sa scrivere e gli altri animali non lo aiutano di certo, tutto finisce bene.
Se avete bambini procuratevelo, perché credo che lo adoreranno.

sabato 27 ottobre 2012

Come che se pensa en diaeto

Dee volte pense che varìe dovuo ndar a lavorar drioman cusì magari vee qualche posibiità de trovar, no spetar de ndar a l’università che tanto a sti ani gnanca e lauree no e conta pi de un toc de carta igienica, ormai anca co quee se pol netarse el cul e basta.

Traduzione in italiano corrente per chi non capisce una parola di veneto: a volte penso che avrei dovuto andare a lavorare subito [dopo il diploma] così magari avevo qualche possibilità di trovare [un posto], non aspettare di andare all’università che tanto di questi tempi le lauree non contano più di un pezzo di carta igienica, ormai anche con quelle si può pulirsi il didietro e basta.

domenica 21 ottobre 2012

Festa di compleanno fuori posto

Ieri abbiamo fatto la mia festa di compleanno al cg. Quest’anno noi grandi siamo senza animatore, riferiamo direttamente alla Giò e basta, a quanto pare. Comunque ne hanno approfittato per fare un bel po’ di casino, e io già lo sapevo, ma dopotutto sono peggio dei bambini e chi spera di no è solo un illuso.
Comunque ho portato il dolce, ho fatto la ciambella paradiso (vedi ricetta qui) con le scaglie di cioccolata. Naturalmente si sono strafogati fino alla morte, e figurarsi se fanno a meno quando si tratta di cibo. Mi hanno regalato un libro (Cinquanta sbavature di Gigio, parodia delle più famose sfumature) con annesso segnalibro, e una felpa di Nightmare before Christmas. Meravigliosa. Doubleface, un lato a righe nere e viola con la faccia di Jack e l’altro tutto nero sempre con Jack davanti e coi pipistrelli dietro. L’unico piccolo problema è che mi va un po’ stretta, ma è un motivo in più per calare (e comunque appena si asciuga la metterò su una sedia ad allargarsi).
A ripensarci adesso sembra tutto bello, ma basta girare l’occhio un attimo per assorgersi che non è così. Che forse io sono il “capo” al cg, che sono io che ho le chiavi e cerco di mantenere una parvenza di ordine, ma la verità è che non c’entro niente con loro. Non esco con loro, non ascolto la loro musica (che neanche mi piace), non capisco neanche di cosa parlano. Mi sembra di essere da sola in una stanza in cui invece ci sono altre sette persone. A volta penso che quello non è più i mio posto. Abbastanza spesso, in realtà. Penso anche, come oggi, che avrei voluto dirgli: “porca vacca, è la mia festa di compleanno, comportati bene. E tu, deficiente [Marco], potresti anche fotografare me, dato che la festa è mia, e anche la macchina fotografica che hai in mano lo è”.
Venerdì stavano sentendo una canzone, non so di chi, uno di quei gruppi/cantanti che piacciono a loro, che cantano tutto fuori tempo, che anche se le parole non stanno sulla musica non fa niente, e beh, le parole della prima strofa dicevano esattamente come mi sento io. E Marco mi guardava canticchiando come niente fosse, e io avrei voluto prenderlo a schiaffoni e dirgli: “visto che la sai a memoria, visto che mi vuoi bene e tutte le solite menate, cosa ci metti a renderti conto che stai cantando il mio stato d’animo? Che è terribilmente così e non lo vedete, nessuno di voi?”. Ma forse non gli interessa di vederlo, e io non credo che glielo dirò. Che senso avrebbe, se tanto non lo capiscono?

giovedì 18 ottobre 2012

Recensioni: Teorema Catherine

Teorema Catherine (An abundance of Katherines) è un libro di John Green. Dello stesso autore potete leggere anche Città di carta (bellissimo) e Cercando Alaska (meraviglioso). Mi sembra abbastanza ovvio che “meraviglioso” sta sopra a “bellissimo”.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Colin ha 17 anni e 19 ex fidanzate tutte di nome Catherine, e da tutte è stato mollato. Colin, che è un bambino prodigio, e forse un genio, e che ricorda un sacco di cose terribilmente inutili e si diverte ad anagrammare le parole, è deciso ad avere il suo “momento Eureka” come tutti i geni, e quando questo arriva lo fa sotto forma di una formula per predire se una storia d’amore funziona o no, e per quanto andrà avanti.
L’ultima Catherine, per comodità C-19, l’ha lasciato il giorno del diploma, e per tirargli su il morale il suo amico Hassan (musulmano sunnita, non terrorista) lo porta con lui in un viaggio on the road nel quale capitano a Gutshot, paesino del Tennessee in cui c’è abbondanza di maiali selvatici e praticamente nient’altro, a parte la tomba dell’Arciduca Franz Ferdinand (o forse no). Qui incontrano Lindsey e sua madre Hollis, e tutti gli amici di Lindsey, primo tra tutti il suo ragazzo Colin, ossia L’Altro Colin (LAC). Hollis propone di ingaggiarli per un lavoro estivo, e così Colin e Hassan si fermano a Gutshot, dove di Catherine non ce n’è nemmeno una e Colin può lavorare al suo teorema…

Dopo Cercando Alaska John Green è balzato in cima alla lista dei miei autori preferiti, e non mi interessa se scrive YA e io ho 23 anni, secondo me scrivere per bambini e ragazzi è terribilmente difficile, più ancora che scrivere per gli adulti, e quindi ha tutta la mia stima. Tutti i suoi personaggi sono così veri che mi domando se effettivamente sotto non ci sia qualche persona reale che lui conosce, o forse è solo che è un trentunenne con un fratello e sono uno più ragazzo dell’altro.
Tutte le scemenze enciclopediche che sa snocciolare Colin io le ho trovate interessanti, ma dopotutto io non sono Hassan, e mi sono letta anche le note a piè di pagina e tutta la spiegazione della formula, pur essendo io negatissima in matematica.
Tanto di cappello anche a Lia Celi che ha tradotto tutto, anagrammi compresi (che ovviamente non si possono tradurre, bisogna semplicemente inventarsene di nuovi).

martedì 16 ottobre 2012

Cose che succedono solo nei telefilm

Se questo fosse un telefilm americano, adesso uscirei dalla mia stanza calandomi dall’albero (che guarda caso ha i rami fin dentro alla finestra) ed entrerei in quella del mio migliore amico, che ovviamente abita nella casa accanto, come niente fosse, magari scalando il supporto per la glicine o qualcosa del genere.
Ma questo non è un telefilm americano, io ho l’inferriata alle finestre e il mio migliore amico non abita più a cinquanta metri da me (e anche quando ci abitava, dovevo comunque entrare dalla porta d’ingresso, e magari anche salutare i suoi). Questo per dire che cresciamo pensando che sia tutto così facile, e invece il mondo ti frega. E che non sempre c’è qualcuno disposto a stare ad ascoltarti alle tre di notte come se niente fosse, anzi, che a volte nessuno vuole ascoltarti, neanche se l’orario è più decente.

Avrei proprio bisogno di un abbraccio, ma incredibilmente forte, da non farmi respirare, da sentire che c’è qualcuno che mi vuole bene e mi tiene al caldo, che qua i giorni si fanno sempre più bui e freddi. Se questo fosse un telefilm americano, potrei mettermi ad abbracciare una persona a caso per strada, e poi potrebbe addirittura succedere che diventasse il mio ragazzo. Ogni tanto sarebbe figo vivere in un telefilm.

lunedì 15 ottobre 2012

23

Ventitré anni fa era domenica e c’era il sole. Oggi, ventitré anni dopo, è un lunedì in cui diluvia. Fa niente, tanto si invecchia anche con la pioggia.

Edit: c’era da immaginarselo che con un tempo del genere sarebbe andato tutto dimmerda. Tanto per cominciare, sarà che io mi ricordo più o meno i compleanni di tutti, ma quelli che mi hanno mandato un messaggio sul cellulare senza avvalersi dell’ausilio-memoria di face sono stati davvero pochi, e ciò mi urta da matti. Poi, mia madre mi ha preso le pastine, che non gliel’avevo chiesto, ha fatto tutto per conto suo, io le avevo detto che se voleva poteva prendermi un krapfen, uno, non un vassoio misto di cannoli e altra roba piena di nutella e granella di nocciole. Ovviamente, mi sono beccata un cannolo più un’altra pastina a pranzo e un altro cannolo più altre due pastine (di cui una di diametro 3,5cm, ossia una cosina mignon, e una composta praticamente da tre noccioline e basta, che non aveva proprio altro) a cena e lei ha iniziato ad arrabbiarsi dicendo che erano una valanga di calorie. Quando poi volevo mangiarci sopra anche una fetta di pane e marmellata ha iniziato a ritorcermi contro la storia della dieta, dicendo che se proprio volevo diventare una balena cazzi miei ma di non andare a piangere da lei quando non butto giù un grammo. E io le ho detto, ovviamente, che se nemmeno al mio compleanno non posso mangiare le pastine allora tanto valeva che non le comprasse, visto che a) io non gliele avevo chieste e b) lo sa benissimo che se me le lascia davanti io le mangi tutte, compreso il vassoio.
Insomma una bella litigata ci stava, che un compleanno senza merda a palate non è divertente. E poi, Marco e metà dei ragazzi del cg non mi hanno ancora fatto gli auguri. Non so se si meritano il dolce sabato. Quasi quasi, che vadano a farsi friggere anche loro.

Mi viene da piangere.

venerdì 12 ottobre 2012

Abbasso la ciccia/4

Non ho granché da dirvi, sono sempre sospesa sui miei 60kg, anche se mi sono concessa una settimana-felicità (la settimana scorsa) in cui ho mangiato normalmente, facendo spuntini e tutto il resto. Questo conferma che non importa quanto mangio, importa di più quanto mi muovo (e adesso che viene avanti l'inverno mi sa che mi nuoverò sempre meno). Lunedì è anche il mio compleanno, e non ho intenzione di trattenermi, dopotutto si invecchia una sola volta all'anno. 

martedì 9 ottobre 2012

Cappello da Stregatto

Ma lei è un gatto…
Uno Stregatto astratto!

Non saprei dirvi di preciso come ci sono sbattuta addosso, so che stavo spulciando google immagini a proposito del Gatto del Cheshire (disneyanamente detto Stregatto), e ho trovato questo meraviglioso cappello (i colori sono quelli della versione di Tim Burton).
 
Da http://www.etsy.com/shop/Greenphoenix13

Se non fosse che è all’uncinetto, che io so a malapena lavorare a ferri e mi viene bene decentemente solo il rovescio, che già il dritto è problematico, inizierei a farmelo anche domani mattina.

giovedì 4 ottobre 2012

Scarpe

A volte mi chiedo come mai abbiamo quattro, cinque, dieci, cinquanta paia di scarpe pur sapendo che c’è un solo paio di piedi. Non sono una compratrice compulsiva, e soprattutto evito di comprare scarpe che non metterò mai, quindi niente tacchi e cose del genere, che io porto solo scarpe da ginnastica, e ho un solo paio di stivali che metto al massimo due volte all’anno e che, proprio per questo, non intendevo neanche prendere, ma mia madre ha detto che guai a me se andavo in giro con la gonna e le scarpe da ginnastica.
Comunque, pur non essendo una di quelle donne che entrano in un negozio di scarpe e devono uscire con qualcosa, oggi sono dovuta andare a prendermi un paio di scarpe per l’inverno, perché le Converse pesanti sono definitivamente giunte al capolinea dopo che le ho trascinate per due anni (ho consumato la suola sotto al calcagno al punto che se piove entra l’acqua) e le ho perfino riparate col silicone perché mi accompagnassero fino all’ultimo giorno di centro estivo. In genere io ho un solo paio di scarpe invernali e un solo paio estivo (più tre paia di ciabatte, di cui due di plastica), oppure ne ho un solo paio e basta, se sono pesanti (d’estate le metto molto poco, quindi non c’è problema anche se sono felpate), quindi vi sembrerà assurdo sapere che oggi ho comprato ben due  paia di scarpe, entrambi invernali. Quando sono arrivata a casa ci ho perso quasi un’ora a reinfilare i lacci in modo assolutamente simmetrico. (Forse ho qualche disturbo della personalità, ma per me i lacci delle scarpe devono essere infilati o identici o simmetrici, non esiste che siano infilate a caso). E ora mi chiedo, con due paia di scarpe e un solo paio di piedi non finirò per preferire un paio e non usare quasi mai l’altro? (Che poi, un’altra bella rogna è che devo portare i plantari, almeno d’inverno, visto che d’estate nelle ciabatte non posso metterli e nelle pantofole col cavolo che ci entrano, e siccome anche di quelli ne ho un solo paio se decido di cambiare scarpe devo sempre stare a scambiarli).
Mi sa che i geni-donna in me non funzionano granchè.

martedì 2 ottobre 2012

Colloquiando

E poi fai un colloquio in libreria e ti dimentichi di dire che leggi più di cento libri all'anno. Sono deficiente.
Oggi ho anche portato in giro altri cinque curriculum, speriamo bene.